La cicoria comune raggiunge un’altezza massima di 1,5 m (minimo 20 cm). Il ciclo biologico è perenne, ma a volte anche annuale; nel primo anno spunta una rosetta basale di foglie, mentre il fusto fiorale compare solamente al secondo anno di vita della pianta. La forma biologica della specie è emicriptofita scaposa (H scap): ossia è una pianta perennante con gemme poste al livello del suolo con fusto allungato e poco foglioso.
In cucina l’utilizzo più frequente è quello delle foglie nelle insalate (fresche o cotte). Se si fa un uso costante delle foglie fresche si ottengono anche i benefici medicamentosi descritti sopra. Per evitare l’eccessivo gusto amaro le foglie vanno raccolte prima della fioritura o va eliminata la parte più interna. La radice della pianta se tostata diventa un ottimo succedaneo del caffè (pratica proposta a quanto pare nel 1600 dal medico e botanico veneto Prospero Alpini (1553 – 1617)[8]; inizialmente però come scopo terapeutico), utilizzo attivato soprattutto in tempi di guerra quando le importazioni del caffè subivano rallentamenti come ad esempio durante il periodo napoleonico in Europa, oppure per altri motivi in India, o ancora nella Germania Est del 1976 durante la «crisi del caffè». La radice inoltre, se bollita, rappresenta una buona alternativa alimentare per il diabetico (l’inulina viene sopportata meglio dell’amido).
Anche se oggi questo alimento è messo in secondo piano, non dimentichiamoci che in passato era molto più utilizzato come ad esempio «pane e cicoria ripassata». È grazie al popolo romano che, tra tutte le erbe spontanee, la cicoria è quella che maggiormente viene ricordata anche da chi in campagna non ci va mai. Anticamente esisteva il personaggio del «cicoriaro» che come mestiere raccoglieva nei campi questa pianta e poi la rivendeva nei mercati rionali. Attualmente la maggioranza dei piatti preparati con la cicoria rientrano nella categoria dei «piatti tipici regionali», mentre in Puglia si aggiunge al purè di fave.
Recensioni
Ancora non ci sono recensioni.